13 luglio 2004
Un mondo “United Colours”?
Il vero volto della Benetton
di Peter Popham da The Independent
Nonostante le pubblicità di sensibilizzazione e l’immagine
di una grande famiglia piena di maglioni colorati, la società Benetton
sta mostrando il suo vero volto accanendosi, al fine di espropiarne i
terreni, contro il popolo Mapuche. In Patagonia, ora la chiamano “United
Colours of Land Grab”, gli ArraffaTerra.
![Tierras Mapuche]()
Le sue campagne pubblicitarie che rappresentavano malati di Aids e carcerati
nel braccio della morte sono ormai un ricordo sbiadito, ma la società
d’abbigliamento Benetton si è imposta nell’immaginario
pubblico come una sorta di avanguardia appassionata e progressista. Il
suo slogan “United Colours of Benetton” incapsula questa sua
visione del mondo in un’immagine di unica, grande e felice famiglia
piena di maglioni colorati.
Adesso, tuttavia, il gruppo è diventato il bersaglio di feroci
critiche in Argentina in seguito al tentativo (riuscito) di cacciare dai
terreni della società una povera famiglia indigena . Ora la chiamano
“United Colours of Land Grab” (Arraffaterra, NdT). La Benetton
divenne il più grande proprietario terriero dell’Argentina
nel 1997, quando acquistò 900.000 ettari di terreni in Patagonia,
l’immensa area deserta nell’estremo sud del paese, resa famosa
dai diari di viaggio di Bruce Chatwin.
Deserta e vuota è come appare questa distesa per via delle vaste
vedute indifferenziate che offre, ma è priva di abitanti solo perché
i grandi possidenti coloniali hanno agito e fatto in modo che restasse
tale per 500 anni. I brillanti, coinvolgenti e filantropi fratelli Benetton
giunsero solo alla fine di una storia lunga e notevolmente spietata.
Il popolo indigeno dei Mapuche, chiamati anche Gente de la Tierra (Gente
della Terra) si è stabilito in Patagonia da 13.000 anni, secondo
gli storici. Ma furono cacciati via da queste terre e ridotti in povertà
dagli spagnoli, e da allora hanno subito continue invasioni, massacri
ed espropri di terra. L’episodio più clamoroso si verificò
nel 1879, quando furono uccisi più di 1.300 mapuche e i loro terreni
vennero confiscati per consegnarli ai coloni britannici.
Le riforme per la creazione di un libero mercato, sostenute dal Presidente
Carlos Menem negli anni ’90, incoraggiarono nordamericani ed europei
facoltosi ad accorrere in Patagonia, tentati dai prezzi bassi e dalla
fresca open economy argentina; tra i nuovi proprietari terrieri figurano
celebrità come Sylvester Stallone, Ted Turner, Jerry Lewis e George
Soros. Quando la Benetton, o più precisamente la sua holding finanziaria
Edizione Holding Spa (sempre di proprietà della famiglia), rilevò
nel 1991 la società britannica Compania Tierras Sud Argentina,
divenne la maggiore possidente del paese.
Gran parte della sua terra venne usata per far pascolare 280.000 pecore,
la cui lana veniva utilizzata direttamente per produrre i maglioni della
ditta. E per dimostrare che i nobili sentimenti della società non
erano cambiati, nel 2002 la Benetton aprì il Museo Leleque, nel
villaggio che porta lo stesso nome, “per narrare la cultura e la
storia di una terra leggendaria”. Divenne poi noto ciò che
disse Carlo Benetton nel momento in cui prendeva possesso dei propri domini:
“La Patagonia mi dà un’incredibile sensazione di libertà”.
Ma la Benetton sembra invece dare ai suoi vicini Mapuche sopravvissuti
un’incredibile sensazione di reclusione. Atilio Curinanco è
nato a Leleque, a meno di un chilometro dal luogo in cui oggi sorge il
nuovo museo Benetton.
Si trasferì con la moglie Rosa e i quattro figli nella vicina città
di Esquel per cercare lavoro ma, messo in ginocchio come tanti altri dalla
tremenda recessione che seguì la crisi argentina del 2001, decise
di tornare alla terra natale, tentando di racimolare il necessario per
vivere in maniera tradizionale.
Lui e sua moglie misero gli occhi su un terreno disabitato di 300 ettari,
chiamato Santa Rosa, terra che tradizionalmente apparteneva ai mapuche
e che era situato accanto a una tenuta dei Benetton. Nel dicembre 2001
si recarono all’Instituto Autaqquico de Colonizacion (IAC), ente
fondiario statale, per chiedere il permesso di occupare quel terreno.
Otto mesi dopo, nell’agosto 2002, lo IAC disse loro che la proprietà
“era stata dichiarata area commerciale”, e che l’ente
intendeva “riservarla a una micro-impresa”. Il signore e la
signora Curinanco lo intesero come un via libera: si presentarono alla
stazione di polizia locale per dichiarare che avevano intenzione di prendere
possesso di quella terra, e nello stesso giorno si trasferirono là
con un gruppo di amici e iniziarono a lavorarci.
Come disse in seguito la signora Curinanco: “Ci siamo recati in
quella proprietà senza far male a nessuno. Non abbiamo tagliato
nessuna recinzione. Non ci siamo nascosti. Aspettavamo solo che qualcuno
venisse e ci facesse sapere se lo disturbavamo”.
In meno di un mese, tuttavia, la “Compagnia” (come è
conosciuta la Benetton tra la gente del posto) notificò alla coppia
che quel terreno era di sua proprietà e che intendeva riprenderselo.
In meno di due mesi arrivò la polizia, confiscò i loro oggetti
personali e smantellò la loro nuova casa.
Ma vennero trascurati i risvolti svantaggiosi della vicenda, e infatti
non stava affatto mettendo bene per l’immagine aziendale della Benetton,
accuratamente costruita e promulgata nei suoi 7.000 punti vendita in più
di 120 paesi. Non appena la storia arrivò alle orecchie della stampa,
nel novembre 2002, il vicepresidente della Compagnia incontrò i
Curinanco e tentò di strappare loro un accordo: la Benetton avrebbe
lasciato cadere le accuse contro di loro, disse lui, se avessero smesso
di coltivare la terra. I Curinanco rifiutarono.
Il mese scorso, il caso è arrivato in tribunale nella provincia
meridionale di Chubut, con la coppia costretta a difendersi dall’accusa
di usurpazione. Dopo che i primi due testimoni della Benetton hanno ritrattato
la loro precedente deposizione e hanno negato che la coppia avesse tagliato
le recinzioni o che fosse entrata nella proprietà di notte, l’accusa
penale è caduta. Ma alla famiglia è stato detto che deve
comunque abbandonare il terreno, perché questo appartiene alla
Compagnia.
Oggi, quasi due anni dopo lo sfratto, il terreno è ancora disabitato
e inutilizzato. “Per noi, la democrazia non è ancora arrivata”,
ha commentato tristemente Mauro Millan, leader dei mapuche, subito dopo
l’udienza.© 2004 Independent Digital (UK) Ltd
“Se ne autorizza la riproduzione citando la fonte.”
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